Il Santo

Il repertorio agiografico riferito a San Dalmazzo fonda le sue radici nella cosiddetta Homelia in dedicatione, un testo tramandato attraverso una copia del XVI secolo, in passato attribuito al vescovo Valeriano di Cimez (documentato tra il 449 e il 460) e oggi più prudentemente attribuito ad un autore attivo tra la fine del V e l’inizio del VI secolo e originario della Gallia meridionale, forse un vescovo, visto il contenuto del testo che fa riferimento alla consacrazione di un nuovo edificio dedicato al martire.

Il repertorio mirabilia

Sempre nel periodo compreso tra il 449 e il 460 doveva esistere inoltre un repertorio di mirabilia, ovvero gli eventi miracolosi, avvenuti sulla tomba del martire. Sulla base del crescente culto entro il V secolo si sviluppò un vero e proprio repertorio agiografico che narrava le presunte vicende del Santo dall’infanzia all’attività missionaria e miracolistica. Sulla base di questa prima tradizione testimoniata da almeno tre vulgate parallele, nel periodo carolingio, l’abbazia di Pedona fu in centro propagatore di una nuova tradizione della vita del santo che venne sviluppata collazionando l’Omelia in dedicatione e alcune tradizioni precarolingie e nella quale venivano fornite indicazioni sulla struttura del santuario edificato in Pedona in epoca carolingia, centro propagatore del culto.

Un santo, tante biografie

Dopo la crisi del sistema carolingio e in concomitanza con la traslazione delle reliquie da Pedona a Quargnento, una nuova tradizione testuale inserisce il santo nel contesto della legione tebea conferendogli il titolo di martire omesso dalla tradizione disponibile fino a quel momento.

Tra l’XI e il XII secolo questa ultima versione viene fatta confluire in una nuova redazione messa in opera probabilmente ancora nell’ambito dell’abbazia di Pedona che in questi secoli raggiunge l’apice della propria influenza. Non a caso questa nuova redazione viene citata dalle fonti come Passio pedonensis, e rappresenta la summa di tutte le tradizioni precedenti compendiando in un nuovo testo la biografia del santo, i memorabilia legati alle sue guarigioni e una diversa versione del martirio che rifiutando la precedente tradizione di ambito tebeo, ricollega l’evento al territorio di Pedona e all’attività evangelizzatrice svolta da Dalmazzo nel territorio delle Alpi piemontesi.

Il culto

Secondo la tradizione Dalmatius Cornelius Adamanus nacque verso la metà del III secolo da una famiglia romana di militari di carriera o comunque funzionari già convertiti al cristianesimo, di stanza a Forum Germanorum – oggi San Lorenzo di Caraglio – nella provincia romana delle Alpium Maritimarum. Diventato adulto il giovane prese a vivere e operare da sacerdote ed evangelizzatore itinerante, agendo nella zona delle Alpi Marittime, della Provenza e della Pianura Padana dove la sua attività missionaria raggiunse le attuali città di Pavia e Milano, Alba e Bene Vagienna. Nell’ambito della sua attività missionaria il santo rimase infine vittima, con trenta dei suoi compagni, di un agguato organizzato dai pagani sulle rive del torrente Vermenagna, nel punto dove esso confluisce nel Gesso. La tradizione colloca al 5 dicembre 254 la data del martirio: le comunità cristiane di Pedona e Castrum Auriatensium – le attuali Borgo San Dalmazzo e Roccavione – si contendono le spoglie del defunto, il corpo viene così caricato su un carro trainato da due buoi giovani con l’accordo di seppellire il martire dove questi avrebbero terminato la loro corsa incontrollata. Attraversato il torrente Gesso, i buoi andarono ad arrestarsi proprio sull’altura dove sorge l’abbazia.

La prima iconografia

Formatasi a partire dal generico modello iconografico del Martire Evangelizzatore, l’immagine del santo si è arricchita nei secoli di elementi che hanno determinato la trasformazione del santo prima in Vescovo e Martire, quindi in Legionario Tebeo.
La prima iconografia a trovare diffusione è quella del giovane martire romano. Le prime raffigurazioni risalgano al XIII e al XIV secolo e presentano il Santo come un giovane con lineamenti eleganti, a volte sbarbato, altre incorniciato da barba e baffi scuri, con capigliatura più o meno lunga e fluente. Per quanto riguarda il vestiario il santo viene rappresentato in abiti assimilabili all’antica foggia romana o più spesso vestito alla moda corrente, secondo uno schema ampiamente diffuso nell’arte tardogotica. A questa immagine generica si accompagnano il nimbo, simbolo della vita celeste, il Vangelo e la palma, emblemi dei martiri; infine si trovano la scure, il coltellaccio o la spada infissi sul capo, simboli del suo martirio.

Da giovane martire a Vescovo e Martire

A partire dal XV secolo a fianco di questa modello, si sviluppa una seconda versione iconografica che rappresenta il santo non più come giovane martire romano, ma come Vescovo e Martire. Questa variazione è con ogni probabilità il frutto di una vulgata testuale diffusa in area lombarda-emiliana tra XIV e XV secolo, nella quale venivano narrata la scelta di Dalmazzo di fermarsi a Pavia alla fine della sua attività missionaria, la sua elezione a vescovo e infine il suo martirio sulle rive del Ticino. Non è un caso che l’area di diffusione di questa iconografia sia esterna all’ambito geografico che vide lo sviluppo dell’abbazia di Pedona e soprattutto che l’iconografia in questione abbia trovato diffusione a partire dal XV secolo quando l’abbazia era ormai ai suoi giorni finali. Dal punto di vista iconografico va notato come Dalmazzo venga presentato in abiti vescovili e con un aspetto senile, con lunga e folta barba bianca che contorna il viso emaciato. Come attributi costanti sono presenti la mitria e il pastorale, mentre il nimbo e la palma sono presenti solamente in alcune delle immagini, così come gli strumenti del martirio e il Vangelo.

San Dalmazzo legionario tebeo

L’ultima tradizione iconografica diffusasi in ordine di tempo è quella che dipinge il santo come legionario tebeo. Nonostante sin dal V secolo questa variante sia stata presente nella tradizione testuale, l’iconografia tebea di San Dalmazzo si sviluppò solo a partire dalla seconda metà del XVI secolo quando molti martiri delle origini venerati a livello locale nel Piemonte sabaudo vennero coinvolti in un processo di assimilazione all’ambito tebeo promosso da casa Savoia che non tardò a diffondersi nelle vicine regioni della Provenza e della Liguria. In queste rappresentazioni san Dalmazzo viene quasi sempre rappresentato con un aspetto giovanile, con il volto estatico incorniciato da un lieve cenno di barba e da baffi. Come tutti i tebei anche Dalmazzo indossa la lorica, una leggera corazza, sotto la quale si intravede una corta tunica bianca e sopra si dispiega un’ampia clamide rossa, affibbiata sulla spalla. L’elmo, talvolta indossato altre volte deposto ai suoi piedi, compare solo in alcune iconografie. Completano l’abbigliamento da legionario tebeo la spada, legata alla cintura e pendente lungo un fianco, e il vessillo bianco con la croce trilobata quale simbolo dell’Ordine di San Maurizio.

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